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Avviare un’Impresa di Transizione

9 gennaio 2015

Ciao a tutt*, poiché presto si terrà a Bologna un seminario sulla RiEconomy italica, ho pensato che sarebbe stato interessante avere un’idea di quanto sta succedendo nella “astronave madre” inglese e se può esserci in qualche modo di ispirazione. Buona lettura e buon anno a tutt*.

Da “Reconomy Project”. Traduzione di MR (h/t Federico Carocci)

Questo è il primo post di una serie sul processo di avvio di un’Impresa di Transizione. Su questo blog tenteremo di definire una Impresa di transizione e di guardare i primissimi stadi del “viaggio” in_the-_beginning2-352x198di start-up. Il nocciolo di questo post, e di quelli a seguire, formeranno una guida scaricabile per far partire un’Impresa di transizione che sarà disponibile all’inizio del 2015.

Cos’è un’Impresa di Transizione?

Negli ultimi anni c’è stata un’impennata delle Imprese Sociali, che commerciano a scopo sociale e reinvestono i propri profitti principalmente nell’impresa stessa. Un’Impresa di Transizione è semplicemente un tipo di Impresa Sociale che, mentre si occupa della sostenibilità dell’impresa, tende ad essere ancorata alla comunità locale e a soddisfare un qualche bisogno importante. Molte imprese commerciano a scopo sociale ma sono ancora una parte attiva di un sistema economico che sta degradando il nostro ecosistema e, mentre possono dimostrare una sostenibilità finanziaria, il loro utilizzo di risorse in particolare è insostenibile.

TE Principles

Principi di IT: suggeriamo che questi principi siano di ispirazione, scelti ed auto-valutati – non un qualcosa che richiediamo che ogni singola impresa abbracci sin dall’inizio. Questo non deve essere inteso come uno schema certificato.

Principi di IT: suggeriamo che questi principi siano di ispirazione, scelti ed auto-valutati – non un qualcosa che richiediamo che ogni singola impresa abbracci sin dall’inizio. Questo non deve essere inteso come uno schema certificato.

Un’Impresa di Transizione (IT) è un’entità commerciale finanziariamente fattibile* che soddisfa un reale bisogno della comunità, fornisce benefici sociali ed ha impatti ambientali benefici, o perlomeno neutri.

* fattibilità significa che perlomeno soddisfi i costi e significa che si può praticare lo scambio di cose che non siano denaro. (more…)

La Banca d’Inghilterra indaga i rischi di una “bolla del carbonio”

21 dicembre 2014

Da “The Guardian”. Traduzione di MR

Inchiesta per valutare le possibilità di un collasso economico se le regolamentazioni per il cambiamento climatico rendessero i beni di carbone, petrolio e gas privi di valore

Vista aerea delle sabbie bituminose a Fort McMurray, Alberta, Canada. Se viene raggiunto un accordo globale per limitare le emissioni di carbonio per i 2°C, le riserve di carbone, petrolio e gas non potrebbero essere bruciate. Foto: Alamy

Di Damian Carrington

La Banca d’Inghilterra sta per condurre un’indagine sul rischio che le società di combustibili fossili causino un grande collasso economico se le future regolamentazioni sul cambiamento climatico rendessero i beni di carbone, petrolio e gas privi di valore. Il concetto di una”bolla del carbonio” si è guadagnato un rapido riconoscimento dal 2013 e viene preso in considerazione sempre più seriamente dalle grandi società finanziarie, comprese Citi Bank, HSBC e Moody’s, ma l’indagine bancaria è finora il riconoscimento più significativo da parte di un istituto regolatore. La preoccupazione è che se i governi del mondo adempiono ai loro obiettivi accordati di limitazione del riscaldamento globale a +2°C tagliando le emissioni di carbonio, allora circa 2/3 delle riserve provate di carbone, petrolio e gas non possono essere bruciate. Essendo le società di combustibili fossili fra le più grandi del mondo, forti perdite del loro valore potrebbero indurre una nuova crisi economica.

Mark Carney, il governatore della banca, ha rivelato l’indagine in una lettera al comitato per il controllo dell’ambiente (EAC) della House of Commons, che sta conducendo la propria indagine. Carney ha detto che c’è stata una discussione iniziale all’interno della banche sui beni di combustibili fossili “immobilizzati”. “Alla luce di queste discussioni, approfondiremo ed amplieremo la nostra indagine sull’argomento”, ha detto, coinvolgendo il comitato di politica finanziaria che ha l’incarico di identificare i rischi economici sistemici. Carney ha sollevato il problema ad un seminario alla Banca Mondiale in ottobre. La notizia dell’indagine della banca giunge nel giorno in cui si aprono i negoziati per l’azione sul cambiamento climatico a Lima, in Perù, e mentre una delle società energetiche europee più grandi, la E.ON, ha annunciato che stava per scorporare gli affari legati ai combustibili fossili per concentrarsi sulle rinnovabili e sulle reti. L’IPCC dell’ONU ha recentemente avvertito che il limite di emissioni di carbonio coerente con i +2°C si stava avvicinando e che l’energia rinnovabile dev’essere perlomeno triplicata.

“I politici ed ora le banche centrali si stanno svegliando rispetto al fatto che gran parte del petrolio, carbone e gas delle riserve mondiali dovrà rimanere nel sottosuolo, a meno che la cattura del carbonio e le tecnologie di stoccaggio non possano venire sviluppate più rapidamente, ha detto Joan Walley MP, che persiede la EAC. “E’ tempo che gli investitori riconoscano anche questo e mettano in conto l’azione per il cambiamento climatico nelle loro decisioni sugli investimenti in combustibili fossili”, ha detto la Walley al Financial Times. Anthony Hobley, amministratore delegato del thinktank Carbon Tracker, che è stato importante nell’analisi della bolla del carbonio, ha detto che l’ultima mossa della banca potrebbe portare a cambiamenti importanti. “Le società di combustibili fossili dovrebbero rivelare ora quante emissioni di carbonio sono racchiuse nelle loro riserve”, ha detto. “Al momento non c’è alcuna coerenza nei rapporti, quindi è difficile per gli investitori prendere delle decisioni informate”. ExxonMobil e Shell hanno detto all’inizio del 2014 che non credevano che le loro riserve di combustibili fossili sarebbero state immobilizzate. A maggio, Carbon Tracker ha riportato che oltre 1 trilione di dollari viene attualmente scommesso in progetti petroliferi ad alto costo che non vedranno mai un ritorno se i governi del mondo adempiono ai loro impegni sul cambiamento climatico.

Rob a Bologna, visto da Rob

2 novembre 2014

Stretta di mani col Sindaco di Bologna

Da “Transition Culture”. Traduzione di MR

 

Sono appena tornato da una due giorni dentro e nei dintorni della bella città di Bologna, in Italia, dove ho partecipato ad una serie di eventi che mi hanno dato l’impressione di aver generato una buona attrattiva efficace intorno alla Transizione. L’Italia si trova in un momento interessante, ad un bivio. Il suo governo sta proponendo un nuovo disegno di legge per aprire il paese al fracking e alle trivellazioni in mare per petrolio e gas, sostenendo che questo è ciò che permetterà alla pessima situazione economica del paese di riprendersi. C’è molta opposizione a questo, quindi parte della mia speranza riguardo al viaggio era di essere in grado di esporre una strada alternativa, di mostrare cosa può offrire la Transizione a queste discussioni.

Dato che l’Italia non ha nessuna crescita e che la situazione sta peggiorando, forse piuttosto che aprire il paese all’estrazione da parte delle compagnie del fracking e ai dirigenti petroliferi, potrebbe essere che invece essa diventi consapevolmente la prima economia post crescita del mondo? E’ senza dubbio più adatta di molti altri paesi europei a fare questo, con una maggiore risorsa di energia solare e sta già generando molta energia rinnovabile. La sua cultura del cibo locale è probabilmente più intatta che in gran parte dei paesi europei. Potrebbe modellare il futuro al quale inevitabilmente dovremo passare.


Ma l’Italia, come mi hanno ricordato tutti ovunque sia andato, “è molto complicata”. Il suo sistema politico è di una confusione sconcertante, con governi di coalizione che cambiano con regolarità allarmante, con partiti politici fortemente trincerati e felici di fare qualsiasi cosa per minarsi fra loro e il senso che, come mi ha detto Cristiano Bottone di Transition Italia, “qualsiasi cosa tu voglia fare come gruppo di Transizione, da qualche parte c’è una legge che lo impedisce”.

Quindi la comune esperienza delle persone è che fare avvenire il cambiamento è molto difficile e che le possibilità, e il sistema, sono tutti contro. Eppure la diffusione della Transizione in Italia, e il modo abile con cui hanno costruito le connessioni con le persone in molti dei luoghi in cui gli ostacoli possono essere rimossi, è un vero indicatore del fatto che forse c’è un altro modo di far accadere le cose.

E’ stato questo lo sfondo del mio viaggio a Bologna, provare a ispirare e coinvolgere le persone in alcune delle istituzioni chiave che potrebbero aiutare ad accelerare realmente le cose a Bologna, che probabilmente è la città più progressista d’Italia ed è il luogo in cui è più probabile che un tale approccio possa radicarsi.

Essendo arrivato in treno, ho cominciato il martedì mattina alla Sala Centro Fiori in città con un incontro per studenti ed insegnanti da 5 diverse scuole di Bologna e dintorni. Alcuni erano studenti di agraria, ma anche di diversi altri indirizzi. Erano circa 300 e si è rivelata essere una sessione affascinante.

Ho parlato in particolare di Transizione e cibo e come dovrebbe essere una nuova cultura del cibo. Erano tutti attenti, hanno posto alcune domande interessantissime e mi hanno applaudito quando ho parlato di coltivare funghi sui fondi di caffè! (Immagino che Bologna produca molti più fondi di caffè di Exeter, il luogo da cui proviene l’esempio che ho usato …). Ecco il video di quella conversazione:

Dopo la conversazione, molti studenti si sono raccolti intorno a me per sapere come potevano iniziare a fare Transizione nelle loro scuole. Gli insegnanti hanno parlato delle cose che stavano già succedendo e come piacesse loro l’idea di mettere tutto insieme nell’idea di una Scuola in Transizione. Sono rimasto davvero toccato dal livello di entusiasmo fra i ragazzi, molto stimolante.


Poi con Cristiano Bottone di Transition Italia, la mia splendida interprete Deborah e Glauco, il nostro autista di San Lazzaro Citta’ di Transizione, ci siamo diretti alla mitica Monteveglio, il luogo di nascita della Transizione in Italia. Un bel paesino ai margini di un parco nazionale, la mia prima impressione è stata come fosse fresca e deliziosa l’aria.

                                                                 Monteveglio

Dopo un pranzo delizioso che comprendeva una deliziosa schiera di cibi locali e la prima volta che ho visto tartufi veri raccolti quella mattina nel bosco, ci siamo diretti alla Sala Consorzio Vini, uno splendido edificio ai margini del paese, per un incontro informale con molti Sindaci italiani e funzionari di autorità locali che stanno lavorando, a livelli diversi, per integrare la Transizione nel loro lavoro. A quell’incontro siamo rimasti tutti d’accordo di incontrarci di nuovo e di rimanere in contatto in modo regolare, un passo importante per il loro lavorare insieme. Poi siamo passati alla modalità intervista, facendo un sacco di interviste per la RAI TV,la BBC italiana (troppo buono Rob, ndt.), per un documentario che faranno sulla Transizione così come con l’Italia Che Cambia.

 

La parte finale della giornata è stata, essendoci riavviati verso Bologna, un raduno transizionista di persone che fanno Transizione in città e nei dintorni. E’ stata una festa di celebrazione, con una deliziosa cena condivisa, dell’ottimo vino e birra locale, dove ho incontrato delle persone splendide. C’è stata anche una performance teatrale ispirata alla Transizione, musica ed altre forme di giochi collettivi molto divertenti. Verso le 10, essendomi svegliato alle 5 quella mattina senza aver dormito bene sul vagone letto, le palpebre hanno cominciato a scendere e mi sono diretto al B&B in cui alloggiavo.

Divertimento improvvisato con diverse persone della Transizione Bolognese…

Divertimento improvvisato con diverse persone della Transizione Bolognese…

Era una stanza splendida in cui risvegliarsi. Proprio in cima di una casa alta, si godeva della vista della città, sui sui tetti, le chiese e le torri per le quali la città è famosa. Grazie alla mattinata molto limpida, è stata una gran bella vista. Il primo evento della giornata era alla Sala Farnese, in Municipio a Bologna, un palazzo incredibile. Amo i vecchi palazzi e questo era davvero bello.


 

Si entra da una serie di grandi scalinate con strane pietre lungo ogni scalino che era, mi hanno spiegato, perché erano state progettate nel periodo medievale per permettere alle persone di salire e scendere a cavallo. Soffitti dipinti in modo incredibile, affreschi antichi. L’evento si chiamava “Verso una società low carbon” e si è tenuto in una bella sala con affreschi, dipinti antichi ed un soffitto molto alto.

Soffitti medievali dipinti incredibilmente belli in Municipio

 

Soffitti medievali dipinti incredibilmente belli in Municipio

L’incontro è stato presentato dal Sindaco di Bologna, Virginio Merola, ecco il suo discorso:

Poi ci sono stati alcuni relatori dell’Università di Bologna che hanno a loro volta dato una mano ad impostare il contesto: Dario Braga, Patrizia Brigidi e Alessandra Bonoli. Ecco Dario Braga:

Cristiano ha fatto un’introduzione e quindi ho parlato io per circa 40 minuti, dopo di che sono seguite molte belle domande e risposte. Ecco il video di quel discorso.

C’era molto brusio in sala, sembrava che la gente fosse molto stimolata ed entusiasmata. In seguito ho incontrato un sacco di gente. Poi, una volta che il tutto si avviava alla conclusione, mi sono avviato all’uscita con diverse persone di Transition italia per una pizza in un ristorante biologico locale di Bologna, in effetti molto buono, devo dire.

Sull’antica scalinata costruita per il passaggio dei cavalli con diversi membri di Transition Italia

Sull’antica scalinata costruita per il passaggio dei cavalli con diversi membri di Transition Italia

L’evento pomeridiano si teneva all’Università di Bologna, l’Università più antica del mondo. Di recente hanno dato inizio un’iniziativa chiamata ‘Alma Low Carbon’, una “squadra di ricerca integrata” che mette insieme diversi dipartimenti per, come dicono loro stessi, “lo scambio e l’integrazione delle competenze della nostra Università nei campi della riduzione delle emissioni di CO2 e dei gas climalteranti”.

Discorso all’Università

Billy Connolly?

Discorso all’Università

Il mio discorso si è focalizzato su “come potrebbe essere un’Università in Transizione?” Ho fatto una riflessione sul fatto che nell’Università in cui sono andato, dove studiavo sostenibilità, c’erano solo erba e cemento e non rappresentava in alcun modo quello che stavamo studiando. Come sarebbe stata, ho chiesto, se un’Università fosse una vetrina, incorporando ad ogni livello gli approcci della Transizione?

Insegnerebbe in modo diverso, si relazionerebbe diversamente, con la comunità userebbe i suoi appalti in modo diverso, produrrebbe la propria energia e così via. Quando il tutto è finito, ci siamo diretti fuori verso l’aria fresca della sera, siamo passati di fianco ad una statua in un corridoio dell’Università che sembrava di Billy Connolly, e quindi è cominciato il lungo viaggio di ritorno a casa.

Colonnato illuminato in modo splendido sulla via per la stazione

Colonnato illuminato in modo splendido sulla via per la stazione

Lascerò a questa citazione da un post sul blog de l’Italia Che Cambia le ultime riflessioni sul viaggio:

Che dire di questa visita? La tela di relazioni che sta nascendo, il positivo interesse di istituzioni di livello nei confronti dell’idea della Transizione e il grande riscontro che essa ha avuto fra i ragazzi di scuole e università, sono tutti aspetti che confermano la bontà del percorso fatto sinora e pongono ottime basi per un ulteriore salto di qualità, che – come sta già avvenendo in Gran Bretagna e in molti altri paesi – abbia la capacità di mettere a sistema il lavoro dei tanti agenti del cambiamento in Italia. Ma ciò che forse ci ha rincuorato e rinvigorito di più sono state la simpatia, l’umiltà e la grande positività che Rob Hopkins è stato capace di portare fra noi, facendoci cogliere, al di là di studi e progetti, la vera essenza della Transizione.

Grazie a tutti coloro che sono venuti, a chi ha organizzato, a Deborah, la Traduttrice di Transizione, a Glauco per i passaggi, a Cristiano per tutto il lavoro organizzativo, al mio ospite, a tutte le persone meravigliose della Transizione che ho incontrato per il grande lavoro che stanno facendo e all’Università per l’invito.

Carote in mezzo al cemento: il ruolo dell’agricoltura urbana

27 ottobre 2014

Da “Transition Culture”. Traduzione di MR

 

Mentre gli architetti e gli sviluppatori pianificano nuove evoluzioni, pensano sicuramente a strade parcheggi e impronte ma pensano anche a piantagioni produttive, al ruolo degli orti sui tetti ed alla biodiversità? Quasi sicuramente no. Avendo visto alcune grandi iniziative di agricoltura urbana negli ultimi due anni, questo sembra un peccato per due ragioni. Primo perché l’agricoltura urbana sta rapidamente prendendo piede, quindi lasciandola fuori vengono lasciati indietro – e secondo perché stanno progettando per un futuro che ne avrà molto bisogno. L’agricoltura urbana è l’avanguardia. E’ ciò di cui abbiamo bisogno adesso.

Per inserire l’agricoltura urbana, e il suo potenziale, nelle nostre discussioni di questo mese su “Re-immaginare il Sistema Immobiliare”, cosa c’è di meglio che parlare con André Viljoen e Katrin Bohn, architetti, accademici ed autori del libro recentemente pubblicato Seconda Natura: progettare città produttive. Il loro primo libro, Paesaggi Produttivi Urbani Continui (PPUC), pubblicato nel 2004, mette il concetto dell’agricoltura urbana nell’agenda della professione dell’architetto. Le cose sono cambiate molto da allora. Li ho raggiunti su skype poche settimane fa. Come mi ha detto André, la reazione quando 10 anni fa hanno proposto agli editori un libro sull’agricoltura urbana è stata “agricoltura? Noi facciamo architettura”!

Il cambiamento da quando è uscito PPUC è stato notevole. Per esempio, la città di Berlino ora ha adottato una strategia urbana che vuole ospitare panorami produttivi e molte delle storie di come si sta diffondendo nel mondo sono catturate nel libro (alcune iniziative di Transizione e il loro lavoro sulla produzione urbana di cibo compaiono a loro volta). Il libro è presentato come una rassegna delle più recenti ricerche e progetti così come “una cassetta degli attrezzi tesa a rendere possibile l’agricoltura urbana”. Riesce molto bene in entrambe le cose.

Agricoltura urbana e nuova economia

Una delle prime cose che spicca nel nuovo libro è la misura in cui le iniziative di agricoltura urbana, in modo analogo ai gruppi di Transizione, stiano sempre più guardando alla fattibilità economica in quello che stanno facendo. Ho chiesto a Katrin di questa tendenza:

Alcuni degli esempi del libro funzionano ci si guadagna da vivere. Solo se le imprese riescono a fare questo c’è un futuro per la coltivazione urbana di cibo. Ciò non significa che questi schemi commercialmente fattibili debbano essere commercialmente fattibili in un modo orientato al profitto. Possono essere imprese sociali. Ma ciò che è stato notato negli ultimi 10 anni, ciò che è realmente cruciale, è che se vogliamo mantenere il presupposto per cui l’agricoltura urbana possa cambiare l’apparenza fisica delle città, allora dobbiamo fornire concetti in cui l’agricoltura sia anche un fattore economico. Non posso dire orti comunitari”.

Per Katrin, la nascita di progetti fattibili commercialmente di agricoltura urbana nel mondo le danno, come lo esprime lei, “il diritto di dire sì, l’agricoltura urbana è stata una buona idea. Perché possiamo vedere che queste versioni fattibili stanno cominciando a funzionare”.

One of Growing Communities' market gardens in Hackney. Uno degli orti urbani comunitari di Hackney

Uno dei migliori esempi di questo, che André ha indicato, è Growing Communities a Hackney, a Londra. Hanno costituito un’impresa in espansione che coinvolge formazione, orti urbani ed un modello in evoluzione per come Londra potrebbe alimentare sé stessa. Tuttavia, André ha riconosciuto che:

Mentre possiamo vedere la nascita di progetti che stanno cominciando ad essere economicamente fattibili, c’è ancora molto duro lavoro e le persone che li gestiscono ci mettono molta energia. Molti di loro hanno altri redditi”.

Come esempio, ha citato quello che probabilmente è l’azienda agricola su tetto più famosa, la Brooklyn Grange Farm a New York. La loro fattibilità commerciale deriva non solo dalla produzione alimentare, ma dall’aver tenuto un approccio imprenditoriale più ampio. Come lui mu ha detto:

Hanno operato commercialmente in relazione alla quantità di cibo, che va bene, ma hanno anche affittato lospazio all’aperto come luogo per celebrazioni, matrimoni, feste ed eventi. Questa è una parte importante del loro reddito. Sono agili, coltivano alimenti in modo molto intenso e convenzionale e penso che la domanda interessante si se i sistemi idroponici possano essere convertiti in sistemi acquaponici, che ci portano più vicini ai sistemi ad anello chiuso”.



Brooklyn Grange Farm, New York

 

Le sfide dell’aumento di scala

 

Un’altra chiave per fare agricoltura urbana economicamente fattibile, secondo André, è essere visti come una parte integrante dei sistemi di ciclo chiuso che usano gli scarti per il compost e il nutrimento. Come dice lui:

Se si comprende questo, allora la possibilità di renderlo commercialmente fattibile pensando ad esso in relazione al flusso di scarti diventa più probabile”.

Ma come possiamo aumentarlo di scala? Mi intriga sapere come pensano come potremmo vedere più abilmente adottata l’agricoltura urbana e più ampiamente dai progettisti e dagli architetti come luogo comune della vita nel pianificare nuovi sviluppi. Katrin mi ha detto:

A Brighton, dove risiediamo entrambi, il Comune ha inserito un piccolo cambiamento sul sito web fra i requisiti che controlla, al momento dell’inserimento delle domande di costruzione, non solo se si fornisce un parcheggio o sufficienti superfici di finestre o balconi, ma anche se questo nuovo sviluppo fornisce spazio per la coltivazione del cibo”.

Per lei, potrebbe essere attraverso questa tipologia di leggi, in cui Brighton ed altri sono pionieri, che l’agricoltura potrebbe venire meglio accettata ed attecchire. “Il modo migliore potrebbe esserePAN-150x213 attraverso queste leggi di modo che la gente capisca che la loro amministrazione locale richiede qualcosa e che essa ne ha un vantaggio”, mi ha detto.

Il precedente di Brighton emerge da Coltivazione del cibo e sviluppo, una nota consultiva di pianificazione sviluppata dal Comune in associazione con Brighton e Hove Food Partnership. Pur non essendo condizioni per ottenere il permesso di progettazione, significano che se si intraprendono certe attività, la domanda sarà vista più favorevolmente. A Brighton, André mi ha detto: “questo ha avuto un impatto notevole sul numero di domande che includono spazi per coltivare cibo al loro interno”. Questo poi, naturalmente, porta a nuove sfide. Come dice André:

La sfida che emerge è che se si introducono spazi per coltivare il cibo, sappiamo come progettarli, ma c’è il problema di chi li gestisce e li mantiene e questo in alcuni progetti è ancora una sfida”.


Mappare i benefici dell’agricoltura urbana

Uno dei modi chiave per espandere l’agricoltura urbana è quello di puntare sulla base delle prove accumulate dei suoi impatti benefici. Come mi ha detto André:

Ci sono molti lavori che documentano i benefici per la salute mentale dell’accesso a spazi aperti, la coesione sociale si giova dalla coltivazione di cibo da parte della comunità. Il programma Pollice Verde a New York, che sostiene gli orti urbani, ha accumulato un bel po’ di prove a favore dei benefici sociali e di salute, sia fisici sia mentali, di quegli spazi”.

Ci sono anche altri benefici. André ha indicato il High Line a New York e anche se ha prevalentemente piante ornamentali piuttosto che commestibili, è comunque un enorme attrazione per la gente, cosa che ha aumentato i prezzi delle proprietà nella zona. Il Prinzessinnengarten a Berlino ha dimostrato che l’agricoltura urbana è un’estetica che piace ai turisti e un altro orto urbano, Marzahn, sempre a Berlino, sta dimostrando come l’agricoltura urbana stia aumentando l’attrattiva di un quartiere povero.



Arnie al Prinzessinnengarten, Berlino.

Un altro beneficio, uno che abbiamo già esaminato in un tema precedente, è che la misura in cui l’agricoltura urbana (e la Transizione, del resto) può essere vista come una strategia di salute pubblica. E’ un’idea a cui André ha pensato:

C’è l’idea delle “città che favoriscono la salute” ed attività come l’agricoltura urbana sono del tutto adatte a quel filone di pensiero, probabilmente più delle ‘palestre verdi’. Ma ci sono alcune prove che sarebbero davvero interessanti da verificare. A Middlesbrough abbiamo fatto un progetto chiamato DOT, “Design of the Times 2007”, che introduce l’agricoltura urbana a Middlesbrough su una serie di scale diverse.

Una nostra studentessa che ha intervistato i residenti ha scoperto che a Middlesbrough la gente che ha cominciato a coltivare cibo, anche se in forma del tutto simbolica tipo coltivare un paio di pomodori e cose del genere, ha cominciato realmente a cambiare comportamento. Ha cominciato a comprare cibo di stagione ed a mangiare più frutta fresca e verdure. Lei ha confrontato la gente che vive a Cambridge a quella che vive a Middlesbrough ed ha scoperto che a Cambridge, dove la gente era già molto impegnata con massaggi salutari e dove era consapevole dei fattori ambientali, più che a Middlesbrough, la coltivazione del cibo non ha avuto un impatto così grande.

Ma in un posto come Middlesbrough ha comportato un enorme cambiamento di comportamento. Ciò non è mai stato, a quanto ne so, oggetto di una ricerca più rigorosa. Pensiamo che probabilmente sia una di quelle attività che la gente cerca sempre, attivita che favoriscono il cambiamento di comportamento direttamente collegate ai miglioramenti della salute”.

Per Katrin, è anche un metodo semplice per trasmettere educazione ambientale generale:

Che siano luoghi dove si coltiva cibo di tipo commerciale o comuni, molti progetti si impegnano anche in attività educative, gruppi scolastici o sessioni specifiche dove si impara a riconoscere le diverse lattughe”.

L’agricoltura urbana e la professione di architetto

L’architettura è, come il mondo della moda, incline alle mode. Ciò che va un anno, il successivo è già passato e l’idea all’avanguardia di quest’anno in quattro anni potrebbe essere “come nel 2014”. Come si potrebbe evitare questo? Come assicurare che l’agricoltura urbana rimanga? Katrin ha riconosciuto che questo potrebbe essere un rischio:

Questo pericolo è una delle ragioni per cui molti protagonisti del movimento della coltivazione urbana di cibo sono consapevoli che le loro idee devono fare questo salto nella politica. Influenzare in maniera sostenibile le politiche di progettazione è molto importante. L’architettura è alla moda e segue la moda, ma segue anche le richieste dei suoi clienti. Così, fincheé il cliente richiede questi spazi per produrre cibo gli architetti li accontenteranno”.

André ha aggiunto:

Siamo ad uno stadio in cui abbiamodavvero bisogno di far capire alla gente il significato di questi spazi in termini di parte dell’infrastruttura ecologica della città che la gente percepisce come spazi essenziali, parte dell’infrastruttura essenziale all’interno di una città. Se viene creato questo cambiamento mentale e pensiamo che ci siano prove sufficienti che lo sostengono, allora questi spazi diventeranno parte integrante delle città. E’ proprio questo lo stadio in cui ci troviamo, credo”.

Partendo da questo, per André e Katrin, una parte chiave del rendere mainstream l’agricoltura urbana è attraverso la buona ricerca. Fanno parte del progetto di ricerca chiamato Trasformazioni Urbane dalla Pratica alle Politiche. In termini di ricerca, André punta sul lavoro di Debra Solomon in Olanda, chiamato ‘Urbaniahoeve’. Là hanno introdotto paesaggi alimentari in diverse città. Il punto centrale del loro lavoro, nel lasso di tempo che porta ad una conferenza nel settembre 2015, sarà sviluppare strumenti per far leva sul cambiamento delle politiche riguardo all’agricoltura urbana.


 

Ultimi pensieri

Architettura Urbana Seconda natura è proprio straordinario. Se dobbiamo proprio costruire ambienti che sono ‘chiusi’ all’interno del futuro radicalmente a basso tenore di carbonio, dobbiamo creare, non possiamo davvero permetterci di costruire qualsiasi nuovo sviluppo che non includa l’agricoltura urbana. Dev’essere ovunque e chiaramente in questo momento non sta avvenendo abbastanza rapidamente. Viljoen e Bohn affrontano questo aspetto da diverse angolazioni e c’è qualcosa in questo che ispira le persone che rientrano in una gamma, da un lato, di chi si chiede come coltivare cibo nella città in cui vive a, dall’altro lato, dei pianificatori e progettisti che vogliono intraprendere progetti di scala ambiziosi. Difficile raccomandarglielo abbastanza.

Chi sono?

AndreSono André Viloen e sono un architetto. Attualmente lavoro all’Università di Brighton dove con Katrin Bohn abbiamo insegnato in un programma per studenti del Master e prima fare questo ero molto impegnato nella ricerca di un’architettura di edifici a basso uso di energia e come renderli passivi. E’ così che siamo arrivati ad interessarci all’agricoltura urbana”.

Katrin BohnSono Katrin Bohn, anch’io insegno all’Università di Brighton, ma ho anche una cattedra come esterna all’Università Tecnica a Berlino e in entrambi i casi cerco di lavorare il tema del cibo e la città. Con André condivido anche il lavoro alla Bohn and Viljoen Architects, che ora piuttosto ridotto, facciamo più che altro consulenza, installazione, studio di fattibilità. Di nuovo, siccome quel tema dei paesaggi produttivi è diventato così importante per noi, è ciò che facciamo prevalentemente. E ci piace”.

Perché ‘Agricoltura Urbana Seconda Natura’?

(Dal libro): “Il termine ‘seconda natura’ ha un doppio significato: da un lato descrive le abitudini ed i costumi integrati e normalizzati che hanno luogo senza un pensiero, dall’altro lato si riferisce allo spazio coltivato fatto dall’uomo che ci circonda in modo analogo alla (prima) natura”.

Selezionato dall’intervista completa che ho fatto a Andre e Katrin. Potete ascoltare l’intervista completa, o scaricarla, sotto.

https://soundcloud.com/transition-culture/viljoen-and-bohn-on-designing-productive-cities

Ci serve la crescita economica?

17 ottobre 2014

Salve a tutt*,

ho pensato che l’articolo suggerito da Cristiano nel suo ultimo post, dove presentava la locandina dell’evento bolognese di mercoledì 29, valesse la pena di essere tradotto, quindi eccolo qui.

Ci vediamo a Bologna?

Buona lettura.


Osiamo mettere in discussione la crescita economica?

Da “The Guardian”. Traduzione di MR

Ci hanno venduto in maniera molto efficace la storia che la crescita infinita sia essenziale per mantenere e migliorare la nostra qualità della vita. Ma questo non potrebbe essere più lontano dalla realtà.

Di Warwik Smith



Il pianeta ha risorse finite. Foto:Reid Wiseman/NASA/Rex/Reid Wiseman/NASA/Rex

Il perseguimento infinito della crescita economica ci sta rendendo infelici e rischia di distruggere la capacità della Terra di sostenerci. La buona notizia è che muoversi per rendere le nostre vite più sostenibili ci renderà anche più felici e sani. Vi piacerebbe un fine settimana di quattro giorni, ogni settimana?

Sono stato a due conferenze con premesse di base analoghe, nell’ultimo anno. La prima è stata all’Università Nazionale Australiana sull’economia ecologica e la seconda, appena la scorsa settimana, è stata sull’economia di stato stazionario all’Università del Nuovo Galles del Sud. La premessa dietro ad entrambe le conferenze è semplicemente ed innegabilmente vera, tuttavia è così destabilizzante da essere fondamentale per il nostro attuale stile di vita:
(more…)

Esperimento alla Ricavata

10 settembre 2014

Salve a tutt*.

al Mulino della Ricavata, ad Urbania, stiamo provando uno strano esperimento: il 27 e 28 settembre ci sarà un Corso di Orto Naturale in Permacultura con Francesco Quondam dell’Accademia Italiana di Permacultura. Siccome parlare solo di orto non ci piaceva, non ci sembrava completo, abbiamo provato a inserire una breve presentazione sugli scenari. E’ un po’ come se facessimo un talk (rivisto ed adattato) prima di imparare a progettare un orto secondo i principi della Permacultura.

E’ un tentativo, anche, di mettere insieme Permacultura e pensiero sistemico (che poi sono due approcci diversi, ma che approdano a risultati molto simili). Riuscirà? E’ presto per dirlo, ma magari ne esce fuori qualche feedback interessante. Intanto, aiutateci a far partire il corso. Se siete da queste parti (provincia di Pesaro-Urbino), diffondete la voce. Grazie.

Non c’è locandina di questo evento, solo un documento di presentazione che trovate qui.

Mulino della Ricavata

La Transizione è politica?

10 giugno 2014

 

Di Rob Hopkins

Da “Transition Culture”. Traduzione di MR

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Criticare la Transizione perché è esplicitamente apartitica e per il fatto che non si impegna nel sistema della politica e dei partiti in modo convenzionale mi sembra come criticare un cucchiaio perché non è molto utile per tagliare il pane. La Transizione è uno strumento progettato per uno scopo specifico. Ma con l’ascesa di UKIP, Fronte Nazionale, Alba Dorata ed altri in Europa ed altrove, l’approccio della Transizione è ancora sostenibile? Dovremmo tutti presentarci alle elezioni? Questo sembra un buon momento per esplorare il modo in cui la Transizione si relaziona alla politica e se il suo approccio è ancora appropriato. Benvenuti non nostro mese di Transizione e politica.

Durante questo mese esploreremo 4 domande chiave:

  • La Transizione è politica?
  • Cosa succederebbe se voi ed alcuni amici simili per mentalità vi metteste insieme e vi candidaste per il vostro comune?
  • Come trovano voce coloro che sono all’interno del sistema politico e mettono in discussione i suoi assunti fondamentali?
  • Cosa fanno i partiti politici principali di Transizione?

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Ci piacerebbe anche sapere cosa ne pensate ed avere vostri contributi. Oggi cominciamo con questo pezzo in risposta alla prima domanda: ‘la Transizione è politica?’ e la nostra intervista con Peter Macfadyen per la seconda. La prima cosa da dire è che ciò che segue sono i miei pensieri, non una qualche posizione politica ufficiale del Transition Network. Per quanto mi riguarda, io immagino la Transizione come se fosse una app. E’ progettata per fare una cosa specifica, mettere insieme le persone per sostenerle ed attivarle per costruire resilienza a livello comunitario, ma sempre nel contesto che, se fatto in un numero sufficiente di luoghi, comincerà a cambiare la politica su scala più ampia e ad aiutare a portare una cultura umana più sana.

Ma è una fra le numerose app che si possono avere per scopi diversi. E’ diversa dalle app della protesta o delle campagne di informazione, è diversa dalle app di lobby politica e si useranno app diverse in tempi diversi. Come dice Jeremy Caradonna nel suo libro in uscita Sostenibilità: una storia, “la sfida è quella di avere un movimento politicamente attivo senza diventare politicizzati”. Ma la domanda che emerge è se la Transizione non è che una parte di un processo più ampio per guidare il cambiamento verso una società più resiliente, giusta, a basso tenore di carbonio e di abbondanza, quale dovrebbe essere il suo rapporto con gli altri pezzi del puzzle? Come si dovrebbe rapportare con le altre ‘app’ (per esempio altri movimenti/campagne/idee per il cambiamento) e al governo locale e nazionale?
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La Transizione come una delle molte app per il cambiamento sociale

Esther Aloun e Samuel Alexander del Simplicity Institute hanno di recente pubblicato un saggio rinfrescante, ben studiato e riflessivo chiamato Il movimento di Transizione: questione di diversità, forza e abbondanza. In questo saggio, si chiedono: “può un movimento sociale, come quello di Transizione, ottenere un cambiamento fondamentale senza impegnarsi nell’azione politica dall’alto? Io risponderei che questo è il solo modo in cui funzionerà la Transizione, creando uno spazio per l’innovazione e la sperimentazione su scala locale in modo tale da ispirare il cambiamento in altre comunità così come più in alto. Stiamo cominciando ad vedere le prove che questo funziona. Il suggerimento di Aloun e Alexander secondo cui la Transizione sarebbe più efficace se fosse connessa meglio con movimenti per il cambiamento più radicali mi sembra che manchi completamente il punto, a mio modo di vedere. Lasciate che lo spieghi un po’ di più.

Se decidessi di presentarmi come candidato delle Città di Transizione, insieme alle mie grandi politiche collegate alla Transizione, dovrei avere politiche sull’aborto, sulla sanità, sull’educazione, sulla difesa, sul commercio internazionale, ecc ecc. Ogni volta che dichiaro una politica su uno di questi temi, mi piazzo sempre di più da qualche parte nello spettro sinistra/destra, pro/anti crescita, pro/anti capitalismo. Appena faccio questo, perdo tutte le persone che non stanno da quella parte. Ciò che funziona a livello politico nazionale diventa profondamente inutile a livello locale.

Lavorare attraverso un’iniziativa di Transizione, che manca di un’esplicita posizione politica è una delle nostre forze chiave. Permette di costruire il tipo di gruppo variegato e politicamente trasversale che serve per costruire comunità più resilienti. Permette la creazione di progetti su scala significativa, ma non limitata da partiti politici e problemi più ampi. E’ il ‘potere di unire’ in cui la Transizione è capace, cosa virtualmente impossibile fare in modo realmente inclusivo se si viene percepiti come politicamente allineati.

Di recente sono stato incuriosito e ho preso una copia del romanzo La seconda vita di Sally Mottram, 4appena pubblicato da David Nobbs, autore di ‘La caduta e l’ascesa di Reginald Perrin’, fra le altre cose. Racconta la storia, nel tipo di racconto che molta gente porterà in spiaggia quest’estate, di Sally che, secondo il retro di copertina “si imbarca nella sua ambizione di riportare la sua città alla vita” facendo partire un’iniziativa di Transizione. E’ “una storia ilare e commovente su cosa mantiene vivo lo spirito della nostra comunità”. Come riassume la Transizione? Qui Sally sta leggendo sul treno, per la prima volta, della Transizione:

I libri [della Transizione] sono pieni di piccoli dettagli, di piccole cose che sono state fatte per cambiare e migliorare molti posti, prevalentemente luoghi molto piccoli, ma il loro tema di fondo non è piccolo. Si tratta, semplicemente, di salvare il nostro pianeta. Implicito in esso e nelle azioni c’è che le cose grandi nascono dalle cose piccole, che da mille piccole azioni, se si possono unire, potrebbe emergere un’azione grande.

L’idea che approcci dal basso guidati dai cittadini rappresentino realmente semplicemente il tipo di azione politica che abbiamo bisogno di vedere sta guadagnando impulso, galvanizzata in particolare dai recenti successi della destra alle elezioni europee. Il gruppo di pensiero dell’ala sinistra Compass di recente ha scritto, nelle sue riflessioni sui risultati delle elezioni europee:

Una nuova economia sta aspettando di essere modellata attraverso aziende consapevoli del cambiamento climatico, attraverso schemi di prestito fra pari per sfidare realmente le grandi banche, attraverso investimenti finanziati dal basso come le piattaforme di avvio e condivisione nelle quali prendiamo in prestito e prestiamo grandi articoli che non usiamo spesso. Una miriade di progetti collaborativi resi possibili da nuove tecnologie, iniziative democratiche come Abundance e grandi idee come B Corps che cambiano la natura stessa delle aziende.

Le stesse tendenze verso la collaborazione, l’auto-organizzazione e le reti sociali verranno infuse nella nostra politica. Da 38 Degrees alla democrazia Flatpack di Frome, dal grande successo di Speranza, non odio nello sconfiggere dal Partito Nazionale Britannico alle Città di Transizione, abbiamo bisogno di una politica condotta dai cittadini, di democrazia quotidiana, non solo di un voto una volta ogni cinque anni.

Quando abbiamo dato vita alla Transizione, la gente diceva “non sarete mai in grado di influenzare i politici con progetti di comunità. Non succederà”. Eppure ora possiamo cominciare ad avere un’idea di come sarà questa progressione. Prendiamo Brixton Città di Transizione a Londra come esempio:

  • Un gruppo di persone si mette insieme e fa crescere la consapevolezza a livello locale, eventi in Open Space, impegna quante più persone possibile che si lanciano come iniziativa di Transizione
  • Questo crea uno spazio supportato in cui la gente ha il permesso di far partire progetti, imprese, iniziative, ma all’interno di un contesto più ampio di altra gente che fa la stessa cosa.
  • Una di queste, Brixton Energy, nasce dal Gruppo Energia e presto diventa una azienda energetica di comunità di successo, che gestisce tre offerte azionarie.5
  • Il Segretario di Stato per l’Energia e il Cambiamento Climatico, Ed Davey, la sceglie come luogo per lanciare il suo appello per una ‘rivoluzione energetica di comunità’ (a destra).
  • Quando il governo abbozza il suo ‘Strategia Energetica Comunitaria’, Brixton Energy fa parte della squadra che redige le bozze (insieme ad altre persone delle iniziative energetiche di Transizione) e vengono menzionati come caso di studio.

Questo a me sembra essere radicale quanto qualsiasi altro gruppo col quale Aloun e Alexander pensano che la Transizione debba fare squadra, ma non sarebbe potuto accadere se lo avesse fatto. La domanda che emerge naturalmente è se impegnarsi in una cosa come la Strategia Energetica Comunitaria sia stato o meno un buon uso del tempo, se sembra probabile portare il tipo di cambiamento realmente trsformativo di cui abbiamo realmente bisogno.

La risposta, finora perlomeno, è che non è sufficiente, ma probabilmente è la cosa migliore che avremmo potuto sperare sotto l’attuale governo. Ed ha permesso il finanziamento per attivare cose come il Fondo ‘Peer mentoring’* per l’Energia Comunitaria (*), che ha attivato il lavoro alla pari che ora sta facendo OVESCO, sostenendo 10 comunità vicine nell’impostare le loro aziende energetiche di comunità, così come altro supporto finanziario. C’è sempre, naturalmente, il pericolo di venire co-optati, un pericolo sollevato da Aloun e Alexander:

Come la maggior parte dei movimenti riformisti, approcci non conflittuali, dal momento che il movimento crea un’occasione sufficiente a diventare visibile, il sistema esistente potrebbe già aver avuto tempo di adattarsi, semplicemente adeguarsi a quel cambiamento”.

Questo è un rischio. Si potrebbe ribattere che, nel contesto del Regno Unito, la Big Society è stato un tentativo di imbottigliare parte di ciò che la Transizione fa così bene. Come di fatto lo sono stati alcuni elementi del Localism Bill. Ma anche se averndo il sostegno da parte delle autorità locali ed altri enti si potrebbe essere visto come co-optati, può realmente essere uno dei modi migliori di proteggersi da questo. Per esempio, il grado di sostegno istituzionale della Sterlina di Bristol da parte del Comune di Bristol è tale che se il governo o la Banca d’Inghilterra volessero chiudere il sistema per qualsiasi ragione, non è solo la Sterlina di Bristol che devono perseguire. Alla fine, si può riuscire a fare di più a livello locale, si può far avvenire il cambiamento. Vedere che il cambiamento avviene ricostruisce la tua fiducia sul fatto che il cambiamento sia possibile e che valga la pena fare uno sforzo. Tendo ad essere d’accordo con John Boik che recentemente ha scritto sul Guardian:

Il livello nazionale non è il luogo per introdurre il cambiamento coraggioso. Farlo sarebbe troppo rischioso, troppo improvviso e troppo caotico per una nazione. Inoltre, sarebbe politicamente insostenibile; le resistenze da parte degli interessi costituiti sarebbero forti.

Una strategia di gran lunga più pratica è quella di introdurre sistemi monetari, finanziari e aziendali a livello locale, su base volontaria e come un complemento all’attuale sistema. Un tale approccio è già legale negli Stati Uniti e molti altri paesi, non servirebbe alcuna nuova legge da approvare. Questa strategia offre la possibilità maggiore di successo con la minore quantità di screzio.

Su scala locale si può creare una nuova storia, mostrare nella pratica, vivente e pulsante, parti funzionanti di una più ampia economia resiliente in arrivo in modo pratico. E questo ha importanza. Come dice John Ehrenfeld in Sostenibilità per progetto:

La sostenibilità può emergere solo quando gli esseri umani moderni adottano una nuova storia che cambierà il loro comportamento in modo tale da prosperare piuttosto che quando l’insostenibilità si manifesta in azione”.

Ciò che mi affascina è il modo in cui questa idea di essere più efficaci atrraverso il non essere esplicitamente politicizzati sta guadagnando impulso. E’ scritto nella storia degli Indipendenti da parte di Frome di cui sentiremo parlare la prossima settimana. E’ l’invito che ho ricevuto per parlare a Salisbury un paio di settimane da parte di un misto di consiglieri che rappresentano tutto lo spettro politico e da parte di alcune persone locali che vogliono far partire la Transizione ma si rendono conto che il Comune non potrebbe farlo. E’0 scritto nel Progetto Economico per Totnes, creato con una coalizione di soggetti interessati locali.


Quindi, per rispondere alla domanda che ci da l’avvio questo mese, “la Transizione è politica?”, la risposta è sì. Profondamente. Ha il potere di trasformare le comunità, le economie, riportere il potere a livello locale, incoraggiare le comunità ad essere proprietarie dei propri patrimoni e ad avere più controllo sul proprio destino economico. Per creare nuovi sistemi alimentari, economici, modelli educativi e ancora e ancora. Conoscete queste cose. Questo è profondamente, visceralmente politico. Ma non lo è esplicitamente. Agisce al di fuori del radar e questo conta davvero. Ma la domanda

Ma poi si pone la domanda, quando il discorso della Regina dà, fra le altre cose, alle aziende di fracking il potere di trivellare sotto casa vostra senza il vostro permesso, la vostra migliore opzione è quella di riunire i vostri vicini per ridurre il vostro uso di energia e dar vita ad un’azienda energetica comunitaria (come recentemente avvenuto a Balcome), o fare lobby e protestare? E qual è, alla fine, la soluzione più ‘politica’? Gustatevi il mese.

 

 

Ultima Chiamata a Urbania

18 Maggio 2014

Salve a tutt*,
per chi dovesse trovarsi dalle parti di Urbania (Pesaro – Urbino) il 21 di maggio, potrebbe essere interessante partecipare alla proiezione del film-documentario “Ultima Chiamata” di Enrico Cerasuolo.

Ancora? Be’, sì. Dopo l’accordo siglato fra Transition Italia e la produzione del film, finalmente possiamo promuoverlo nella sua versione integrale (quella della Rai era forse troppo “ridotta”).

Trovate i dettagli qui.

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Ultima chiamata in streaming

29 aprile 2014

Salve a tutt*,

da ieri e per una settimana, l’intera trasmissione di “Eco della Storia” di domenica sera è disponibile in streaming. Se ve lo siete perso domenica, è una buona occasione per recuperare.

La Rai ha deciso di doppiare il documentario, che è quindi molto più facile da seguire per chi mastica poco l’inglese o fa fatica a seguire i sottotitoli. Purtroppo però, dal documentario originale sono stati tagliati circa 30 minuti. Un’operazione del genere era già avvenuta con “Una fattoria per il futuro”, doppiato, tagliato e programmato su Geo&Geo.

Non sono ancora sicuro se questo sia un materiale utile (visto il doppiaggio) o se sia molto meglio passare l’originale (visti i tagli). In ogni caso, potete verificarlo voi stessi.

Il video è la riproduzione completa della puntata, che comprende un’intervista a Luca Mercalli e degli inserti di immagini di repertorio (compresa la famosa intervista di Piero Angela ad Aurelio Peccei).

Buona visione.

jay

Jay Forrester

L’ultima chiamata anche a Urbania

27 aprile 2014

Salve a tutti,
comunicazione di servizio: stasera (domenica 27 aprile) alle ore 20:30 nella Sala del Consiglio del Comune di Urbania, abbiamo organizzato una proiezione pubblica del film-documentario “Ultima chiamata”.

Le ragioni che ci hanno spinto ad organizzare una proiezione pubblica sono le stesse che hanno portato alla proiezione a S. Teodoro a Monteveglio: insieme è meglio, se ne può discutere e si possono accompagnare le persone che non conoscono ancora gli scenari di cui si parla nel film. Se vi trovate quindi da queste parti, fate un salto a trovarci.

La sala dovrebbe essere già affollata (speriamo) da tanti rappresentanti delle 3 liste elettorali presentate per le comunali nella giornata di ieri, ma è sufficientemente grande e un posto ve lo troviamo 🙂 In ogni caso, anche se è abbastanza tardi per organizzarsi, se riuscite a non guardare da soli il documentario sarebbe una cosa buona. In ogni caso, buona visione.

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La squadra de “I Limiti dello Sviluppo” nel 1972
(Chiedo scusa a Davide per la sovrapposizione, ma la comunicazione era già in estremo ritardo e non poteva attendere oltre)

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